Onzerod con Gianrico Carofiglio

La serata del 18 gennaio passa a chiacchiere con l’amica dalla quale avrei dormito e che non vedevo da un po’. Si parla male degli uomini e si mangia bene. Nella mia borsa intanto il test di gravidanza acquistato d’impulso nella farmacia davanti alla fontana di Trevi, silente lavora sulla costruzione del destino. Al risveglio, l’indomani, all’appuntamento con la pipì del mattino faccio trovare la punta assorbente della pennetta. Due linee verticali rosse mi danno il buongiorno. Esco dal bagno e mostro il risultato alla mia amica. Lei senza pensarci lo va a dire al suo fidanzato che ancora dormiente alla notizia “Morena è incinta” replica uno spassosissimo “ma come, qui a casa nostra?”. Come se ci fosse, e confermo ci sono, luoghi abilitati e altri meno a scoperte di tal genere. Ma tant’è.

Con questo bagaglio fisico e emotivo mi dirigo alla prima delle interviste della giornata che è con nientepopodimenochè Gianrico Carofiglio. Per raggiungerlo  attraverso un metal detector e il controllo severo di una portineria in via Santa Chiara. Dopo aver preso l’ascensore fino al secondo piano, vado con passo emozionato alla stanza 255. Eccolo il padre dell’avvocato Guerrieri alla sua scrivania, abito grigio elegantissimo che dà le ultime disposizioni alla sua segretaria. Quando lei se ne va mi saluta e io le dico, udite udite, “Salve”. Ma come, davanti a Carofiglio che ha dedicato una pagina eccezionale alla categoria dell’uomo in canottiera come lo chiama lui, dico “Salve”? Un leggero rossore colora le mie guance. Che brutta figura, io che da bambina quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande rispondevo bella figura, solo bella figura. Non posso che chiedere scusa, ma lui, con il suo aplomb mi tranquillizza e mi dice, siamo tutti uomini in canottiera, non si preoccupi. Ma gli Stati Uniti ci aspettano. Sistemo quindi il registratore davanti a lui e si va. On ze rod ovviamente. All’inizio è tutto molto tranquillo, mi racconta di un’America a metà tra realtà cinematografica e letteraria dove l’impasto di verità e fiction accontenta tutti. E mentre formula le sue frasi sempre così ben architettate sintatticamente, lui così pacato, mi chiedo quando uscirà allo scoperto un po’ dell’anima di Guerrieri. Tra i libri che lui cita come ottimi compagni di viaggio per visitare l’America in auto c’è The lost continent di Bill Bryson.

Mi porta a Chicago, poi a Pittsburgh a vedere la casa sulla cascata e infine a Boston dove è arrivato la prima volta di notte senza aver prenotato, trovandosi così a dover dormire in uno squallidissimo motel. Ed è proprio sui motel che Carofiglio mi regala una delle perle più divertenti. I rumori che ci accolgono una volta scesi dalla macchina, quando sfatti dalle miglia macinate sulle highways vogliamo solo farci un bidet e andare a dormire, sono i protagonisti. C’è per esempio il ronzio di fondo in tutti i motel che è quello dei condizionatori il più delle volte vecchi e scassati che per dormire ci vogliono i tappi per le orecchie. E poi che dire della macchina del ghiaccio? In America il ghiaccio è ovunque. Una volta una giornalista in un bar, quando lui le chiese cosa prendi, disse, un po’ di ghiaccio e si rimpì il bicchiere. Americani. Comunque, mentre mi parla dei rumori gli sfugge un po’ la situazione di mano e comincia a rifarmeli, per farmi capire meglio. Eccolo l’avvocato Guerrieri. La macchina del ghiaccio fa brodobododrà. E me lo ripropone agitando la mano davanti alla bocca per enfatizzare l’idea di qualcosa che sbrodola rumorosamente. E che dire del suono di New York, quello che non ti abbandona mai, puoi essere nel pieno della notte su un grattacielo dell’Upper East Side o giù dalle parti di Chelsea, o nel Village o anche nella punta di Manhattan e c’è sempre questo oooooommmmmmmm mattina e sera. Il mio compagno di viaggio chiude con un consiglio su dove andare a magiare a Brooklyn, ovvero da Peter Luger.

E di cibo, dopo questa chiacchierata, visto anche com’è cominciata la mia mattina, ne ho proprio bisogno. Non vorrei farmi prendere subito la mano dal fatto che siamo in due, ma ho davvero bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti. La mia gola nel frattempo è sempre più in fiamme e anche la mia fronte non è da meno. Sarà la febbre della responsabilità?

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