Elio Fiorucci. Una terapia d’amore lunga quasi mezzo secolo.

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Ci sono luoghi che fanno stare bene, in cui la geografia degli oggetti si mescola alla geografia dell’anima emanando un effetto taumaturgico. E come per Audrey Hepburn nella celebre pellicola del 1961 di Blake Edwards, questo luogo è Tiffany, un negozio, così sarà per i protagonisti di questa storia, un negozio, o meglio, una nuova idea di negozio intorno alla quale gravitano molti destini.

Siamo a Milano negli anni Sessanta. Mentre Miss Holly Golightly oltreoceano cerca conforto per le sue giornate «no» da Tiffany con un cornetto e un caffè guardando le vetrine, nel capoluogo lombardo un giovane che lavora nel negozio di scarpe del padre sente la necessità di offrire qualcosa di diverso alle signore che guardano le vetrine, forse in cerca di quello stesso conforto dell’eroina di Truman Capote. Questo giovane si chiama Elio Fiorucci e decide di proporre alle sue clienti degli stivali da pioggia colorati. La pioggia è già triste di per sé, perché non mettere del colore alle giornate grigie, invece del classico nero? Forte della sua intuizione propone la sua idea a una redattrice del femminile Amica che pubblica alcune foto di queste galoche multicolor. Ed è subito un successo. L’Italia sembra pronta a osare come già il resto del mondo sta facendo.

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L’Inghilterra è una delle mete preferite da Elio fin da giovanissimo, perché è il massimo del conservatorismo, ma anche il massimo della libertà e della trasgressione. Un giorno di quei primi anni Sessanta prende la scusa di far visita alla sorella che studia a Cambridge, lui che non ha voluto studiare ed è stato messo a lavorare col padre, e prenota un biglietto per Londra.

Arriva per caso, anche se al caso lui non crede, a Carnaby Street. I colori, le vetrine dei negozi, le persone che si incontrano per strada, tutto gli fa credere di essere nel bel mezzo del suo destino. Quella strada pulsa di vita, la vita che tutti dovrebbero conoscere. Davanti alle vetrine di un negozietto sente una vibrazione. Deve entrare, si sente attratto da quell’idea di libertà rappresentata dal disordine, dall’ibridazione, dalla contaminazione che ogni capo poggiato a terra o sui manichini trasmette. E’ tutto incredibilmente magico. Ci passa alcune ore, guarda le clienti, osserva la padrona di casa, studia la merce. Cerca di leggere attraverso questi segni una nuova strada, la sua. L’inglese di Elio non è dei migliori, ma questo non gli impedisce di farsi capire quando decide di parlare proprio con lei, la proprietaria di quella meraviglia. Del resto la grammatica delle idee produce un vocabolario che supera ogni barriera linguistica. Sarà solo il primo di vari incontri con Biba, ovvero Barabara Hulanicky, il big bang da cui deriva l’universo di Fiorucci.

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Biba è quanto di più innovativo si trovi nella Londra di quegli anni. Le prime sperimentazioni fatte con i colori all’interno del negozio del padre, per Elio, trovano nella boutique di Barbara Hulanicki una collocazione più precisa. Quello è il modo nuovo di fare moda, trasformare in icone pop i segni culturali sparsi nella metropoli, in poche parole istituzionalizzare il lifestyle. Londra è il faro d’orientamento, ma molte sono le differenze col Belpaese.

La possibilità di far vedere anche all’Italia quanta libertà vi fosse nel mondo, libertà di esprimersi, di vestire, di sentire, arriva nel maggio del 1967, l’anno prima del maggio francese.

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Una calda serata di primavera in San Babila, in galleria Passarella si sente della musica ad alto volume, sono dischi che arrivano da Londra e che inondano l’aria di energia. La provenienza è un negozio. In mezzo agli altri dai nomi roboanti come Principe di Galles o Duca d’Este e ai colori tradizionali, ha fatto irruzione Fiorucci con la sua colata di colore ed emozione del suo primo store. La serata è troppo elettrizzante per farsela sfuggire, persino Adriano Celentano con tutto il clan arriva su una Cadillac rosa e vuole partecipare. La gente si ferma a guardare, sembra stiano girando un film.

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Da quel 31 maggio 1967, basta passare in galleria Passarella per vedere quali sono le novità nel mondo, senza uscire dal Paese. Ci pensa Elio a riunire il meglio in tre piani di luccicante innovazione in San Babila dove, commesse che sembrano modelle, salgono e scendono in minigonna dalla scala color ciclamino posta nel mezzo. Quello che lui vuole fare attraverso il suo negozio, è creare un dialogo su un piano emotivo con i suoi clienti. L’acquisto è la conseguenza della gioia ricevuta, è il modo che le persone hanno di ripagarlo per averle fatte star bene. Il suo è un negozio terapeutico, come Tiffany per Audrey Hepburn. Lui sa che è solo nella condivisione che si può esser felici, come gli ha insegnato la Londra di Biba.

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Nasce la moda democratica. Le sue vetrine diventano spazio per performance, si vedono passare gli anni Settanta, gli anni Ottanta e i Novanta. Da Fiorucci la moda diventa spettacolo, l’universo compare in una finestra, una sorta di internet ante-litteram. Il suo negozio è l’attualità e i giornali ne parlano in continuazione, solo per il fatto che esiste. Non ci sono solo clienti, ma soprattutto visitatori. Fiorucci è un’attrazione.

Dopo Milano è la volta di Londra e poi l’America. Nel 1976 a New York sulla Cinquantanovesima Strada vicino a Bloomingdale apre lo store Fiorucci. Il progetto del negozio viene affidato all’amico architetto Ettore Sottsass che insieme a Andrea Branzi e Franco Marabelli disegnano questa nuova vetrina sul mondo dove trovare il meglio della creatività in circolazione. Lo store diventa in breve tempo il punto di incontro delle comunità artistiche newyorkesi. Diventa ufficialmente il luogo dove andare. Warhol lo sceglie per lanciare la sua rivista Interview. La cultura americana lo aspettava e lui diventa in breve simbolo di stile libero, informale, fantasioso. Entra negli armadi, nelle anime, nella vita della gente e persino nelle canzoni. Le Sister Sledge nel ritornello di «He’s the greatest dancer» lo citano dicendo «Lui veste i migliori designer, Halston, Gucci, Fiorucci».

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Persino l’inaugurazione del famosissimo Studio 54 nel cuore di Manhattan nel 1977, emblema per eccellenza delle discoteche, è sponsorizzata da Fiorucci. Alla serata partecipa tutto il jet set internazionale: Bianca Jagger, Margaux Hemingway, Andy Warhol e Grace Jones. Con Andy Warhol Elio instaura un’amicizia particolare ed è in visita alla sua factory che conosce tutta la nuova generazione dei pittori americani, tra cui Keith Haring, e Jean-Michel Basquiat. Proprio su quest’ultimo, nel 1980 con la Rizzoli USA produce un film dal titolo New York beat, un documento indimenticabile sulla vita di questo artista che all’epoca era fidanzato di un’altrettanto sconosciuta Madonna e che Elio ricorda come la personificazione della leggerezza e della bellezza, tutto quello che ognuno avrebbe voluto essere.

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Con Keith Haring invece realizza un altro progetto, fa ricoprire di graffiti ogni superficie del negozio in San Babila in una performance solitaria durata una notte. Pareti e mobili diventano un’estemporanea opera d’arte e quasi come una moderna cattedrale, il negozio in galleria Passarella ha il suo artista che ne affresca le volte e la gente lo può visitare.

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Prosegue la sua carriera tra incontri e destini che si incrociano, tra innovazione e provocazione. Per quanto riguarda la moda, Elio tiene il passo; nel periodo in cui va il nude look esce con campagne pubblicitarie dove vengono ritratte donne bellissime, immortalate dall’amico Oliviero Toscani. Esce il bikini, il tanga e i suoi poster vanno a ruba. Nel 1982 DuPont inventa la Lycra e Fiorucci la utilizza per il jeans stretch. La tela di jeans, sino ad allora usata per abiti comodi, da lavoro, diventa bella, sexy. Anche in America, la patria dei jeans, diventano oggetto di culto e Fiorucci è improvvisamente il re del jeans. Bruce Springsteen dice che dopo la sua chitarra sono i jeans Fiorucci l’oggetto cui tiene di più. Nel 1983 esce il film Flashdance e Fiorucci lancia la moda da palestra, si vendono body e scaldamuscoli.

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L’infinita capacità di sintonizzarsi sul presente vede Fiorucci attraversare tre decenni, dalla new wave alla new age. Le persone delle quali si è circondato, la sua predisposizione alla caccia delle tendenze da coolhunter ante litteram, la curiosità del viaggio come fonte di ispirazione, sono gli ingredienti del suo successo. I suoi negozi sembravano palcoscenici dove va in scena un mondo spettacolare, fatto di un meticciato di sentimenti che rimandano all’Italia, all’America, all’India. E Barbara Hulanicki, la persona che ha innestato in lui l’idea di un nuovo concetto di negozio firma alcune collezioni per Fiorucci e poi si stabilisce in Florida dove si dedica all’interior design. Quando viene a Milano non manca di chiamare l’amico Elio, con lui ha condiviso l’ebbrezza di quel periodo, di quella intuizione. Per celebrare quei favolosi anni Sessanta e Settanta le hanno dedicato un musical e lei ne è stata addirittura la protagonista, non solo la musa ispiratrice.

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Ma la vita poi va avanti. La Fiorucci viene venduta nel 1990 a una società giapponese. Nel 2003 il mitico store in Galleria Passarella viene ceduto al gruppo svedese H&M e nello stesso anno Elio lancia una nuovo progetto: Love Therapy proponendo accessori e abiti che offrano allegria e divertimento. Dopo anni di sperimentazione è arrivato il momento di ritornare alla fonte primigenia, quella che non conosce tempo: l’amore.

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 (riadattamento di un mio racconto contenuto in “Destini Incrociati” – Cairo Editore)

 

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