Piacere, Vagina.

Tra Dio e Dea

Foto di Beatrice Speranza

(Testo scritto per l’opera “Tra Dio e Dea” di Beatrice Speranza in mostra al Mac di Pietrasanta fino al 10 settembre 2019.)

 

De sidero, allontanarsi dalle stelle. Questo è l’etimo della parola intorno cui gira tutta la mia vita. Da qualunque parte lo si guardi, sia che si tratti di desiderio di me, o che si tratti di me che desidero, hanno sempre cercato di farmi credere che non ci fosse nulla di spirituale. Eppure è solo laddove terra e cielo si uniscono che sento, da sempre, compiersi il mio miracolo.

Vivo all’ombra di un monte. Poco male. L’ombra è una risorsa se non diventa oscurantismo. So raggiungere vette altissime senza aver bisogno di essere sulla cima per sentirmi parte dell’universo. E quando raggiungo l’apice, dentro di me, sopra di me, sotto di me e tutto intorno a me, sento vibrare l’anima e il corpo, la natura e la cultura, la roccia e la nuvola.

Ho labbra grandi. Allora sei il lupo, direte voi. No, rispondo io. E anche se lo fossi non ci sarebbe nulla di cui temere. Non ho nessuna intenzione di mangiarvi. Ho anche labbra piccole però. Entrambe hanno molto da dire, soprattutto a quanti ancora cercano di metterle a tacere.

Ho eretto proprio sulla collinetta che mette in contatto il mio spirito con la mia carne, il tributo alla mia libertà: un albero fatto di radici ben piantate nei miei corpi cavernosi e rami e foglie che, al contrario, tendono all’infinito che mi sovrasta.

Dicono che il simbolo del cuore, così come lo disegniamo con le due curve in alto e la punta verso il basso, sia una rivisitazione grafica di me. Del mio esserci così come sono. Quindi, io sono l’amore?

Troppo complessa la risposta. Lo so, non vi affannate a darmela. Però amo essere amata e rivendico il diritto di vivere l’eterno che mi ha generata e che genero a mia volta, quando mi pervade il desiderio di rifugiarmi lassù, fra le stelle della mia carnalità.

 

Storie di Canon al #luccaCG14. La rabbia del giallo.

Fotografia di Federica Zani

Fotografia di Federica Zani

Ho assaggiato il nero e non mi piace. Ho indossato calzini spaiati e ho cercato di calpestare la vostra mediocrità. Ma voi siete briciole per la mia rabbia. Non la potete saziare. Il giallo accende la follia. E io con il giallo vi voglio seppellire, voi manica di pusillanimi becchini che pensate di uccidere la mia immaginazione coi vostri divieti, che credete di ingabbiarmi con i vostri NO e mi nascondete i pennelli.

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Storie di Canon al #luccaCG14. E il fuoco s’innamorò dell’acqua.

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Lei era semplice, di quella semplicità che fa subito eleganza. Era però anche determinata, se si metteva in testa di raggiungere qualcosa, lo faceva. Paziente, meticolosa, a tratti irruente. Sapeva che anche solo una goccia poteva fare la differenza, per far traboccare un vaso, per far nascere l’arcobaleno o addirittura per bucare la pietra. Era l’acqua.

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Storie di Canon al #luccaCG14. Antonio e la seconda possibilità.

Fotografia Marcella Foccardi

Fotografia Marcella Foccardi

La chiamavano nelle ore più strane e per le faccende più bizzarre. Il più delle volte erano coppie che stavano per lasciarsi. Qualche volta erano studenti nel periodo degli esami o semplicemente alle interrogazioni. I più difficili erano quelli che stavano per perdere il lavoro, mentre i più leggeri i concorrenti dei quiz televisivi. Insomma, dove c’era un minimo rischio di “caduta”, eccola che veniva invocata lei: la seconda possibilità.

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