Non c’è come scorgere un impedimento alla linearità del pensiero, un limite alle mire espansionistiche dell’immaginazione che la brama dell’oltre, dell’altrove, del celato si impadronisce delle nostre viscere. E improvvisamente quell’ostacolo diventa la finestra su un nuovo mondo. La nebbia si dirada e compare abbagliante la nuova verità.
In occasione di una delle fiere più grosse ed improbabili che si tengono a Milano in prossimità delle feste natalizie, “L’artigiano in fiera”, mi è capitato di dare una mano ad un’amica che ha una cioccolateria. Solo dopo alcuni giorni ho capito che non si trattava di vendere percentuali più o meno grandi di cacao trasformate in praline o tavolette, ma attraverso esse come tante messaline offrivamo tutte, dico tutte perché eravamo solo donne al di qua del bachetto, il nostro corpo. La situazione mi è apparsa chiara quando una delle clienti ha scoperto le proprie carte, mostrando la propria ira come da cagnetta cui è stato sottratto l’osso.

Banchetto ambitissimo da gente di ogni età, cultura, religione ed estrazione sociale eravamo prese d’assalto da orde di papille gustative pronte ad essere titillate. Difficile stabilire delle precedenze tra di loro, si cercava di dare ascolto un po’ a tutte. C’era chi con lo sguardo del “tocca a me” attirava l’attenzione anche se era l’utlimo arrivato, oppure delle cortesi domande del tipo “l’hanno già servita?” erano la nostra soluzione all’anarchia dovuta all’inebriante promessa di felicità che si respirava nei pressi dello stand. Ma ecco che incrocio lo sguardo smarrito, e solo più tardi scoprirò essere stato invece sospettoso, di una donna schiacciata dalla folla tra la vetrina e un uomo dalle idee molto chiare sui cioccolatini che avrebbe voluto possedere – è il caso di dirlo – la cui bramosia una mia collega stava già assecondando.
Ho avuto l’ardire di rivolgere una domanda tendenziosa alla presunta cliente non tenendo conto del registro nel quale il cioccolato ci aveva trasferite. Si sa, a seconda della situazione e degli interlocutori certe frasi possono avere molteplici significati. Non era un rapporto commerciale quello instaurato tra noi che vendevamo cioccolato e loro che lo acquistavano, ma una sfida dove il possesso, anche se non reale, dell’altrui corpo era la posta in gioco. Così ho chiesto ingenuamente “siete insieme?”, un modo per fare ordine nella mia gerarchia di persone ancora da servire. Sconcertante quando lei mi ha liquidata, per di più visibilmente infastidita, con un “veramente siamo sposati”. Ebbene sì, ero una rivale da rimettere al proprio posto, “siete insieme?” può voler dire troppe cose. Stavo insidiando il suo territorio. Ero una sorta di sirena che cercava di irretire il viaggiatore. Il suo viaggiatore. Quale fortuna quella dichiarazione pubblica dell’esistenza persino di un contratto, il matrimonio. È stata la corda che ha tenuto quell’Ulisse ben saldo all’albero della barca. E così il viaggio è potuto continuare.
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